SULLA TRADIZIONE NORDICO – GERMANICA

 

In primo luogo colgo l’occasione per porgere i miei ringraziamenti alla rivista “El Fortin” ed al Centro Evoliano d’America per stare pubblicando questo mio articolo riguardante la religiosità dei popoli dell’Europa Settentrionale pre-cristiana.
Come osserveremo in questo studio, le popolazioni arie nord-europee possedevano una religiosità che, sia per la ricchezza dei suoi simboli, sia per gli insegnamenti che essa trasmetteva, sia per il carattere delle sue dottrine, arriva a coincidere ed a trovarsi in perfetta armonia con quella classica, mostrando così anche l’antichità dell’unità spirituale degli europei; ciò rivelando inoltre una realtà ben diversa da quelle che la storiografia moderna, determinata sempre dalle becere pseudo-filosofie contemporanee ha cercato di mostrarci.
Bisogna inoltre ricordare che a partire dal XIX secolo, con il sorgere dei nazionalismi, grandi mali della civiltà Occidentale, vi è stato un tentativo ogni volta crescente di recuperare queste tradizioni pre-cristiane. Ma ciò fu fatto conforme la convenienza, non essendovi un vero interesse nel recupero di una civiltà europea ormai morente, ma solamente un interesse nel recupero di un’estetica, di cerimonie e di miti e leggende che potessero essere utili per l’esaltazione di un artificiale concetto di <<nazione>>. Contro a tale forma di<<paganesimo>> già si esprimeva il Barone Julius Evola nel 1936, definendo il recupero che stava venendo messo in atto da movimento nazional-socialista come “grottesco, tale da far venir voglia di diventar cattolico anche a chi avesse le migliori disposizioni pagane”.
Detto ciò premetto e ribadisco che non è mio disio, per mezzo di tale scritto, fomentare ulteriormente simili abominevoli ideologie ma, entro i limiti del possibile, contribuire affinché si possa, per mezzo di giuste ed equilibrate analisi, recuperare lo spirito ario-occidentale, e di conseguenza le basi e i principi della Civiltà Europea, oggi in crisi. Civiltà che, deve essere lasciato chiaro, già non conosce più i suoi limiti nelle Colonne d’Ercole, ma si estende al di la di esse, oltre l’Oceano Atlantico e in molte altre terre e continenti un tempo ignoti.

  1. Gli Dèi e il Mondo

Per una questione di continuità logica ritengo sia importante cominciare dissertando sull’origine degli Dèi e del Mondo secondo la religione in questione. Adottando qui come principale base i miti del Voluspa e del Voluspa Inni Skamma, insieme ad altri, sappiamo che in origine nacquero tre Dèi, Odino, Vili e Vé, dal gigante Borr, questi, a loro volta lo uccisero, e lo stesso fecero con la quasi totalità della sua razza –salvandosi solamente una famiglia di giganti- e dal corpo di Ymir, primo della razza appena sterminata, essi crearono il Midgard, che verrà ad essere abitato dagli uomini. A partire da questi Dèi saranno poi creati gli altri, arrivando ad un totale di dodici, che in seguito diverranno comunque undici a causa della morte del Dio Baldr.

Prima di poter parlare degli Dèi in se occorre tuttavia fissare alcuni presupposti filosofico – teologici che dovranno servire come base, e per tali presupposti ci serviremo del trattato “Sugli dèi e il mondo”, del filosofo classico Secondo Saturnino Sallustio.
Nella visione di tale filosofo, tutto avrebbe avuto origine da una causa prima, o causa delle cause, sovra essenziale, e che avrebbe dato origine al cosmos, vale a dire agli dèi e ad altre forze da cui poi si originerà il mondo. Gli dèi, a loro volta si dividerebbero in due categorie: encosmici e ipercosmici, essendo gli encosmici responsabili per l’esistenza del mondo, animarlo, armonizzarlo e vigilare su di esso. Sempre secondo le visioni del Sallustio ogni divinità avrebbe una sua sfera, essendo questa sensibile e  identificabile ad esempio con certi elementi naturali che vengono associati a certi dèi, fatto che non deve assolutamente far pensare che  tali elementi siano dèi, visione che, come lo stesso Sallustio osservò, sarebbe da folli, quasi come dire che il blasone di un dato casato costituisce i membri di esso, invece di rappresentarlo semplicemente.
Ancora sugli dèi c’è da dire che essi, per la loro natura divina siano al di sopra di qualsiasi influenza, sentimento, pericolo e quant’altro possa invece porsi agli esseri del mondo sensibile; sono dunque perfetti ed incorruttibili, essendo così anche impassibili di fronte ai nostri riti e le nostre cerimonie religiose o preghiere, le quali posseggono la finalità di proporzionare a noi l’elevazione dell’anima e lo stabilimento del contatto con le divinità; va quindi premesso che esse non gioiranno nel vederci seguire i loro comandamenti, così come non saranno prese dall’ira nel vederci bestemmiare, semplicemente tali atteggiamenti produrranno i loro effetti, che potranno essere positivi o negativi su noi stessi. Naturalmente qui si deve osservare che, se essi sono incorruttibili allora devono anche essere increati, cioè non possono avere avuto un inizio. In questo contesto sembriamo dunque entrare in contrasto con l’esistenza della causa delle cause, ma ciò occorre solamente a partire dal momento in cui consideriamo l’esistenza del tempo come verità assoluta, e desideriamo quindi collocare tale creazione dentro al nostro spazio temporale.
Tuttavia, in tale modo dimenticheremmo il principio di sovra essenzialità della causa delle cause, quando invece il tempo è qualcosa che si sottopone ad essa, così come si sottopone agli dèi, ed appartiene esclusivamente alla dimensione del mondo sensibile, sottoposto al principio di temporalità. Con ciò ci pare logico che la generazione compiuta dalla causa delle cause sia qualcosa di estraneo a tale tempo, e ciò vale sia per gli dèi sia per il mondo, come vedremo ora.

Sempre in questo stesso trattato si parla della creazione del mondo. Come per gli dèi, anche per il mondo si deve tener conto che la sua origine sia atemporale, dovendo la sua origine alla causa delle cause e la sua esistenza come lo conosciamo agli dèi. Esso, secondo Sallustio, sarebbe ancora in costante movimento, affinché possa essere mantenuto un giusto equilibrio cosmico; tale movimento sarebbe dunque rettilineo per fuoco, aria, terra e acqua, muovendosi rispettivamente i primi due verso l’alto ed i secondi verso il basso, metafisicamente parlando, ed imitando così i movimenti compiuti dall’anima, che può elevarsi verso gli dèi o ribassarsi, verso la dimensione terrena od anche inferiore ad essa. Vi è anche un altro ordine di corpi, questa volta celesti,  i quali, citando lo scrittore latino “si muovono in circolo, come l’intelletto”; questi ultimi non sarebbero comunque formati da nessuno dei primi quattro elementi, appartenendo da una sfera diversa dalla prima; di tal modo si ha non solo una differenziazione tra la Terra e lo spazio ma anche una tra questo ed  altri possibili mondi, che Sallustio  afferma siano 7, nonostante potrebbero anche essere di più. Occorre inoltre fissare che il Mondo, per essere increato è anch’esso per natura incorruttibile, poiché se lo fosse significherebbe che gli dèi a loro volta non sarebbero infallibili; si conclude quindi che ad essere passibili di mutamenti sono gli uomini, che possono avvicinarsi o allontanarsi dagli dèi, dipendendo ciò dal loro vigore e forza di volontà, trovandoci qui anche in armonia con la dottrina sull’Individuo Assoluto, di Julius Evola, e contro a qualsiasi possibile determinismo sul destino e le tendenze degli uomini.

Fissati dunque i presupposti su cui lavoreremo, inizieremo ora con l’analisi degli dèi del pantheon nordico.
Innanzitutto occorre dire che essi si dividono in due classi, gli Aesir e i Vanir, essendo gli Aesir l’ordine di dèi encosmici e i Vanir quella degli dèi ipercosmici. Dei primi poi, in origine ne furono generati tre: Odino, Vìli (Hoenir) e Vé (identificato anche con Loki o Lodurr), i quali, dopo aver ucciso il gigante  Ymir, crearono il Mondo, così possiamo dire che queste solo le divinità responsabili per fare esistere il mondo; Baldr, Forseti e Bragi lo armonizzerebbero, Thor, Heimdall e Tyr vigilerebbero su di esso e così seguendo si osserverà che tutti gli dèi norreni potranno essere divisi secondo la classificazione di dèi creatori, dèi animatori, dèi armonizzatori e dèi guardiani, che vigilano sul cosmo.

Così come osserviamo che vi sono degli dèi encosmici, possiamo osservare anche l’esistenza di dèi ipercosmici, in questa sterra religione, corrispondendo questi alla famiglia dei Vanir. Tali dei, allo stabilire una gerarchia divina norrena, dobbiamo situarli al di sotto degli dèi encosmici, che sarebbero gli Aesir, ma al di sopra degli elfi, che possiamo arrivare a considerare come esseri corrispondenti agli eudaimons classici e delle altre creature divine.
Tali dèi, ancora secondo i testi sacri possiederebbero funzioni voltate prevalentemente a ciò che è terreno ed appartiene a Midgard, oltre a rappresentare un tipo di spiritualità che potremmo identificare come lunare, come pare suggerire simbolicamente il fatto che Njordr sia dio del mare e delle terre costiere – ricollegandosi così a Nettuno, che l’esoterista italiano Julius Evola aveva identificato come una delle divinità di carattere ctonio – o ancora il fatto che in origine tale famiglia sia entrata in conflitto con gli Aesir.
Tuttavia non dobbiamo essere portati a credere che nonostante tale carattere e nonostante il conflitto iniziale tali dèi siano nemici del principio solare, incarnato dagli dèi encosmici; infatti, come osserviamo sempre negli Edda Poetici, dopo l’iniziale conflitto avviene l’alleanza tra queste due casate divine, con una subordinazione di quest’ultima, di carattere ctonio, alla prima, di carattere superiore. In questo modo l’ordine cosmico viene perfettamente rispettato, passando i Vanir ad assumere quella  che potremmo arrivare a considerare come una funzione ausiliaria ed intermediaria fra il Midgard e l’Asgard.

A quanto esposto si potrebbe tuttavia contestare il fatto che le principali fonti per lo studio della religione nordica vanno in alcuni casi a contraddire i principi che, in accordo con il pensiero classico o determinerebbero la divinità o meno dell’entità di cui si tratta. Occorre anche rilevare che tali miti, già in passato hanno dato spazio ad interpretazioni evemeristiche, come quelle presentate da Snorri Sturlusson, il quale affermò che in verità gli dèi in questione sarebbero stati dei principi e dei re, e che sarebbero passati ad essere adorati dai propri sudditi dopo la loro morte; altre interpretazioni storiciste ancora arrivano a dire che in verità i miti nordici non sarebbero altro che allegorie per raccontare la storia delle popolazioni locali, dei loro conflitti o ancora per giustificare la loro organizzazione sociale ed ancora, secondo altre interpretazioni questa volta naturaliste  in verità tali dèi altro non sarebbero se non forze della natura.

L’intenzione di simili interpretazioni risulta abbastanza chiaro: squalificare, sminuire e tacciare di totemismo la Tradizione in questione, ciò in favore o di qualche altra religione – come avrebbe potuto essere il cristianesimo ai tempi dello Sturlusson – o ancora in favore di certe correnti filosofiche moderne che altro non sono se non l’espressione dello stato di decadenza di una razza. Così stando le cose si fa necessario, ancora in questa sede, far fronte a simili argomentazioni, per poter dare fondamento a quanto detto e a tale scopo ci viene nuovamente in aiuto il filosofo classico Sallustio, il quale divide i miti in cinque diverse categorie: quelli teologici, quelli fisici, quelli psichici quelli misti e quelli materiali, essendo teologici quelli che riguardano l’essenza stessa degli dèi, senza ricorrere a corpi, fisici quelli riguardante il modo di agire degli dèi in relazione al mondo, psichici quelli riguardanti l’anima e il suo modo di agire, misti quelli che posseggono più d’una lettura possibile ed infine materiali quelli che tendono a materializzare ciò che è immateriale. Tale divisione si può anche applicare al modo di interpretare un mito oltre che al mito in sé.
Fatte le dovute divisioni occorre premettere che ciò che l’autore medievale prima citato e molti studiosi moderni hanno fatto è stato dare un’interpretazione materiale a dei miti che in verità possiederebbero un carattere definibile come misto. Contro tale interpretazione si espresse già il filosofo classico in questione, ritenendole giustamente  “da folli”, aggiungiamo noi che, per principio logico, quando si ha in mano un testo sacro, come è anche il caso degli Edda, si deve sempre tener conto che la funzione di esso è quella di mostrare una via affinché l’uomo possa elevarsi, per mezzo di determinate pratiche ed insegnamenti, oltre la sua sfera materiale, verso il divino; di conseguenza tali testi possono contenere insegnamenti basici, validi per tutti gli uomini, così come insegnamenti ermetici, comprensibili appena ad un gruppo che in certi casi è iniziato a determinati misteri, che sono quelli che hanno la funzione di completare e di potenziare lo spirito dell’individuo. E giustamente per permettere solo a chi ne ha la condizione di seguire tale cammino tali testi risulteranno codificati, necessitando di conseguenza di un’interpretazione lungi da quella letteraria. In questo modo ci risulta evidente come certe interpretazioni siano frutto, quando non di poca lucidità di miopia, o inettitudine o anche di malafede di certi studiosi.

Con quanto detto passiamo ora ad affermare che la maggior parte dei miti in questione possiede un carattere misto, i quali possiamo, e così si fa conveniente per un interpretazione che sia esterna da un contesto iniziatico, leggerli sotto un piano teologico, fisico e psichico, il che ci permetterebbe di svolgere delle rilevanti deduzioni sotto un piano tradizionale, nonostante le alterazioni di cui tale Via agli Dèi è stata oggetto in tempi recenti in parte per la degenerazione per idiovariazione dello spirito primordiale, in parte per influenze esterne.

Un punto che, in ultimis, e prima di concludere merita una particolare attenzione qui è quello che riguarda la morte degli dèi, presente sia nel Baldrs Draumar, sia nel Gylfaginning, sia  nel Voluspa (Ragnarok), riguardando il Dio Baldr nel primo caso e tutti gli dèi nel secondo. Un simile fatto narrato nelle scritture sacre, sembrerebbe, a prima vista, sancire la prova che gli dèi nordici non sarebbero veramente dèi, poiché, logicamente, se un dio per poter essere tale deve essere atemporale ed eterno, esso non potrà dunque essere passibile dello stesso fato che spetta ai mortali, così sembriamo incorrere in un apparente paradosso. Tuttavia questi stessi presupposti possono venire a colmare il paradosso apparente, dato che se gli dèi come essenze non possono morire possono però cessare di manifestarsi in questo ciclo, qualora la degenerazione raggiunta in esso fosse troppo grande e significasse un rompimento definitivo degli uomini con gli dèi; in questo caso viene risolto il paradosso, stabilendo dunque che con la totale dissoluzione operata nel Gotterdammerung non occorre una vera morte degli dèi, ma essi si limitano a lasciare questo ciclo, che a sua volta, a causa di tale abbandono si vede condannato alla dissoluzione. Tale considerazione è valida a carattere di analisi teologica, tuttavia, se se ne volessero condurre altre, sotto un punto di vista simbolico ed esoterico, di altra natura dovrebbero essere le osservazioni, che a loro volta porterebbero ad altre conclusioni.

Apprestandoci a concludere questa prima parte occorre mettere in chiaro che qui è stata presentata un’analisi succinta e nella misura del possibile abbreviata di un tema che potrebbe e andrebbe esplorato sicuramente di più; riteniamo tuttavia che quanto detto sia sufficiente a mettere in chiaro che gli dèi del pantheon norreno, così come gli dèi di qualsiasi altro pantheon ario, siano entità veramente superiori e non il frutto di una qualche fantasia tellurico - totemica dei popoli del nord, come per lungo tempo si è voluto credere ed allo stesso modo ci auguriamo possa esser servito per stimolare l’interesse per tale tradizione, semplice all’apparenza, ma altamente ermetica per uno sguardo più profondo.

Leonardo Rivalenti