SULLA TRADIZIONE NORDICO – GERMANICA, II^PARTE

 

Il Simbolismo.
Dopo un periodo prolungato di assenza, dovuto ad una serie di contingenze che non ci hanno permesso di dare continuità alla seconda parte del nostro articolo sulla tradizione pagana nordica, ritorniamo ora con la seconda parte, con l’intuito di approfondire soprattutto l’aspetto simbolico insito a tale vertente del politeismo europeo.
Se sul piano teologico ci si rivelano non poche difficoltà nell’associare tale religione alle dottrine filosofiche classiche, le quali pur essendo totalmente compatibili con essa, necessitano comunque di un lungo lavoro di <<adattamento>>, per il quale il nostro precedente articolo non è risultato sufficiente. Riprendendo quindi le nostre analisi abbiamo quindi da osservare che la tradizione germanico - scandinava  è ricca di simboli ed archetipi estremamente significativi, a tal punto a attirare l’attenzione, in passato, di studiosi del calibro di Olaus Wormius, il quale fu responsabile per raccogliere alcuni miti dell’Edda Poetica – tra i quali il Rigspula, di ruolo fondamentale  nella comprensione di alcuni aspetti legati agli indoeuropei – nel suo Codex Wormianus.  Inizieremo quindi ad esporre il modo con cui si presenta, nell’Edda  Poetica, la dottrina delle quattro età, in particolare l’Età del Ferro, o Kali Yuga.

Ci limiteremo a riportare qui alcuni dei simboli che riteniamo più significativi per rendere l’idea dell’unità trascendente delle religioni in una Tradizione Primordiale, l’analisi di tutta la simbologia necessiterebbe un libro.

L’Età del Lupo.

“I fratelli si aggrediranno
e alla morte giungeranno,
i vincoli di stirpe,
prova dura per gli uomini,
immane l'adulterio.
Tempo di asce, tempo di spade
s'infrangeranno scudi,
tempo di venti, tempo di lupi,
prima che il mondo crolli.
[Strepita il suolo;
volano via le streghe.]
Neppure un uomo
un altro ne risparmierà”
.

Per poter comprendere meglio l’Età del Ferro nordica occorre prima approfondirsi sulla cosmogonia e sulla teogonia di questi ultimi: secondo il Vǫluspá, principale fonte che si presta ai nostri fini, sarebbero in origine esistiti i Giganti, i quali simbolizzano le potenze del caos primordiale, sui quali regnava Ymir; ciò viene trattato come in un epoca antecedente a quella dell’Oro, quando ancora il cosmos non si è formato. In questo scenario avviene che i figli del gigante Borr, che sono Odin, Vili e Vé, dopo aver ucciso Ymir e scacciato gli altri Giganti, danno il via alla creazione del  Miðgarðr, Mondo intermedio, nell’Albero Yggdrasill tra le altre sfere (che sono o superiori e celesti o inferiori e infernali, demoniache). Ha così luogo la cosmogonia, o il passaggio dal caos al cosmo.

A seguito della creazione ha inizio l’Età dell’Oro, durante la quale gli Dei vivono in maniera prospera e pacifica fino all’arrivo di tre fanciulle di giganti dallo Jǫtunheimr (sfera infera nella quale vi risiedeva una stirpe di giganti). Come risposta a questo tentativo di destabilizzare l’ordine cosmico, gli Dei – dodici in questo momento, fatto la cui rilevanza spiegheremo in seguito – creano i Nani, creature di natura ctonia, ed inferiore agli uomini, gli uomini, che abitano il Miðgarðr ed infine le Nornir, tre fanciulle sorte dall’Urðarbrunnr, o <<fonte del destino>>, che sorge ai piedi dell’Albero Yggdrasill, il quale regge i Nove Mondi – collocazione che possiamo benissimo ritenere caricata di significati - . Queste fanciulle, nonostante presentino una fisionomia totalmente diversa, rivestono un ruolo analogo a quello delle Parche della mitologia Romana, decidendo per l’inizio o la fine della vita per gli esseri della Terra di Mezzo (Miðgarðr).

Nel contesto a cui ci stiamo riferendo dobbiamo ricordare che è già posteriore all’Età dell’Oro, la quale si è conclusa con l’arrivo delle tre gigantesse e l’inizio della manifestazione corporea; in questo modo ci è possibile già in questo momento dedurre che, conforme questa tradizione, la prima delle età sarebbe in verità legata alla dimensione divina, e, se è legata alla dimensione divina, è atemporale e quindi totalmente sconosciuta alla nostra dimensione, che si trova sottoposta ai principi di spazio e tempo.

Chiudendo la breve parentesi narrativa che abbiamo aperto e riprendendo la nostra narrazione, sappiamo ancora che, durante questa età intermedia, giunge tra gli Dei Gullveig, un’incantatrice che alcuni studiosi fanno appartenere alla stirpe dei Vanir, la quale inizia a seminare la discordia nel cosmo, preparando il terreno per l’invasione dei Vanir, un’altra stirpe divina che affronta gli Æsir, con i quali tuttavia, a seguito di un conflitto, riesce a conciliarsi, attualmente, di questa classe, si conosce solamente la triade Njörðr, Freyr e Freyja, che passano ad essere fedeli alleati degli Æsir.

Giungendo ora al tema che ci interessava più da vicino, ovvero l’Età del Ferro, essa, conforme il Vǫluspá, si potrebbe fare iniziare nel momento in cui avviene l’<<uccisione>> (che deve essere intesa come simbolica, dato che sarebbe assurdo pensare che una divinità possa morire) del Dio Baldr, ucciso involontariamente dal Dio Hǫðr;l’uccisione segna l’oscuramento di una delle dodici divinità encosmiche, e di conseguenza l’inizio della rottura dell’equilibrio del cosmo, che porterà alla graduale disintegrazione del mondo, per tale ragione possiamo fare iniziare con questo episodio l’ultima età. A seguito di questo episodio, sempre nel Vǫluspá, ci vengono narrati una serie di fatti storici in ordine discendente: prima la visione degli inferi, dopo la nascita della Stirpe dei Lupi, dalla quale proviene Fenrir, il lupo demoniaco al servizio di Loki, che si schiererà con quest’ultimo nella grande battaglia finale; in seguito l’Inizio del Crepuscolo degli Dei viene annunciato dal canto di tre galli, il primo, di nome Fjalarr, localizzato in un bosco presso ad un colle in cui vi risiede una gigantessa, in risposta ad esso canta quindi un secondo gallo, Gullinkambi, che risiede tra gli Dei, e ridesta gli eroi, in risposta a quest’ultimo, canta un terzo gallo, il cui nome nel testo che prendiamo come base non viene menzionato, ma che risidede nel Hel (inferi) e che è responsabile per l’inizio della sollevazione del mondo infero. Le parti del poema che si susseguono al canto dei galli corrispondono ad una descrizione dell’Età del Ferro nel suo momento di massima, come era del caos più totale, fino al momento in cui il Dio Heimdallr suonerà il suo possente corno, Gjallarhorn, invocando allora tutte le forze per lo scontro finale; ciò che verrà in seguito sarà lo scontro finale tra le forze <<olimpiche>> contro quelle infere – le prime vedendo tra le loro schiere anche tutti gli uomini che furono d nobile anima – il quale porterà alla distruzione totale di tutte le forze, lo sprofondamento della terra nel mare (abbiamo ritenuto questo punto degno di nota, per ciò lo stiamo mettendo in risalto), e in poche parole il ritorno ad un <<caos primordiale>>.

Non essendoci purtroppo possibile estenderci molto su questo tema, a causa della necessità di analizzare anche alcuni altri punti della tradizione, possiamo limitarci ad osservare che ciò che si osserva a partire dalla rottura del equilibrio garantito dalle dodici divinità, con l’oscuramento (morte simbolica) di una di esse è un processo di discesa costante, di decadenza, che possiamo ben dire che riguardi gli uomini; a seguito di ciò avviene la nascita di una stirpe di lupi demoniaci (il lupo, in tale tradizione, assume un significato apertamente opposto a quello assunto nella tradizione romana), i quali possono facilmente essere interpretati come un’allegoria per l’<<antitradizione>>, o forse, non esagereremmo a dirlo, della stessa <<contro tradizione>> - per usare termini usati anche da René Guenon - .  Il mito dei tre galli, presente nel poema, potrebbe in un certo modo indicarci, con il canto del primo gallo, che si trova in una dimensione non infera e neanche divina, lo staccamento degli uomini dal Divino, il successivo canto del gallo celeste, che risiede tra gli Æsir e che, grazie al suo canto, risveglia gli Eroi, potrebbe indicare quella che Esiodo indica come Età degli Eroi, quando si manifesta sulla terra una razza di uomini eroici che cercano di restaurare la Tradizione Primordiale e il contatto con la divinità; tuttavia quest’impresa viene fermata dal canto del terzo gallo, quello infero, il quale risveglia tutte le forze infere, il canto di quest’ultimo potrebbe facilmente essere interpretato come il segnale di quello che Julius Evola identifica come “Crepuscolo degli Eroi” (cfr. Rivolta Contro il Mondo Moderno) e l’affermazione decisiva dell’Età del Ferro, con l’affermazione progressiva di tutto ciò che si oppone ai concetti tradizionali ari. A quel punto, di fronte alla totale degenerazione degli uomini, vediamo il Guardiano dell’Asgardr, Heimdallr, suonare il corno, con il quale ha inizio la fase finale del ciclo, lo scontro finale menzionato nel poema sta probabilmente ad indicare un ultimo grande scontro tra i due mondi opposti – tradizione contro modernità, cosmo contro caos, qualità contro quantità, etc. – il quale finirà per potare ad un totale annichilimento di entrambe che forze, dal quale sarà però ristabilito l’Ordine Divino.

Sempre nel Vǫluspá viene narrato, che in seguito alla distruzione totale si avrà il ritorno dell’Età dell’Oro, in cui la terra riemergerebbe dal mare, le aquile (da notare questo dettaglio) ritornerebbero a volare maestose, e il regno delle dodici divinità sarebbe restaurato (tra i dettagli più salienti). In quest’ultimo passaggio, ove viene menzionato anche il sorgere di una nuova grande divinità, che si potrebbe interpretare sempre nel contesto della rivelazione – nuovamente – dei Dodici Dei, come il momento del ripristino di quella che i romani definirebbero Pax Deorum, poiché alla fine, dal momento in cui tutto si origina a partire dagli Dei, come ci insegnano sia i miti di innumerevoli tradizioni, sia la Filosofia Classica, e tutto esiste secondo il logos, che viene considerato anche dalla Filosofia Scolastica come un’attribuzione divina, una vittoria del principi anti-olimpico sugli Dei sarebbe impossibile ed anche solo pensarlo non sarebbe ragionevole, poiché non è esso quello responsabile per la creazione di ordine dal caos, e non è questo ad avere il potere di distruggere ciò che viene creato da una forza di ordine superiore. Sempre nel senso di una restaurazione del Mondo Tradizionale dobbiamo intendere la riemersione della terra dalle acque, nelle quali si era inabissata durante il Crepuscolo degli Dei, come nell’Atlantide di Platone, in fatti, il mondo ormai separatosi irrimediabilmente dalle potenze creatrici, viene fatto affondare, il che può essere inteso come una purificazione dai mali di cui si era infettato; il ritorno delle aquile, a sua volta, non è minimamente casuale: infatti è da notare che tutti i grandi imperi che si costituirono sotto segni virili e solari ebbero l’aquila come simbolo, ed essa, nelle tradizioni specialmente indoeuropee, ma anche in alcune tradizioni amerindie, è colei che rappresenta la principale potenza divina, in questo caso il Dio Óðinn, e che quindi sta qui ad indicare il ritorno di tale divinità – anche se sotto un nome diverso, secondo alcune versioni del mito ed alcuni altri poemi – per regnare sul nuovo ciclo che si apre.

Il Rígsþula.

I Saloni di Dan e Damp sono nobili,
Grandi le loro ricchezze, più di quanto tu possa guadagnare,
Abili sono, nel guidare le loro navi,
Temprare le loro armi e nella lotta.”

Difficilmente reperibile, questo mito tratta dell’origine delle caste in tale tradizione, di come esse sarebbero state originate dal Dio Rigg, il cui nome proviene da un’influenza celtica, dove si osserva che un termine simile significa Re, con ciò siamo portati a dedurre che Rigg, in verità, sia Odino. Il mito ci rivela una preoccupazione molto palese dei nordici con la razza del corpo, qualcosa che, se in altre tradizioni e razze è stato riscontrabile sempre nella forma del diritto nobiliare – persistente tutt’ora in alcune monarchie e aristocrazie - , dello jus sanguinis romano, ed in altre forme somiglianti, nella mitologia nordica esso viene evidenziato con tutta la chiarezza possibile, dal momento che nel Rígsþula viene esposto un ordine gerarchico che vede alla sua base negri e semiti, mentre al suo apice uomini bianchi. Ci permettiamo qui di avanzare l’ipotesi che forse, giustamente a causa di questo suo carattere “politicamente scorretto” tale mito viene quasi ignorato da molti ricostruzionisti o sedicenti ricostruzionisti, i quali desidererebbero basare l’odinismo nei principi del pacifismo dell’antirazzismo e di altri pseudo - valori figli della più recente decadenza sessantottina e post sessantottina! Tuttavia sappiamo bene che se si desidera rivivere una determinata tradizione essa deve come minimo essere ricostituita integralmente, ed aggiungiamo che, almeno in questa sede, tale tradizione viene ad offrirsi oggi come un ottimo sostegno agli sforzi di tutti coloro i quali non desiderino vedere la Civiltà Occidentale sprofondare vittima dei suoi stessi errori.
Non si deve comunque pensare di avere davanti la religione di Arthur de Gobineau e degli antropologi razziali degli scorsi due secoli. Tali nitide descrizioni come quelle del Rigsthula stanno ad indicare l’esistenza di un ideale di perfezione presente tra i nordici, ideale che, guarda caso, si può riscontrare in modo quasi analogo nelle civiltà classiche, del Mediterraneo. Una simile coincidenza, assieme alle altre somiglianze, potrebbe dunque farci p supporre che, per queste genti, il tipo che nel mito in questione viene descritto come rappresentante della nobiltà e della Casata Reale (predominante nell’Europa Settentrionale), dovesse costituire l’archetipo del tipo primordiale, l’ancestrale della civiltà. Ci avviciniamo così all’idea della Tradizione Primordiale, tradizione che, secondo quanto lascia intendere il mito, Odino ha lasciato in custodia alla schiatta dei Re e dei nobili più illustri, i quali sono così la casta più vicina all’Asgard e di conseguenza, vediamo anche qui affermata la Dottrina del Diritto Divino dei Re, che è lungi dall’essere una creazione dell’Europa assolutista.
Esattamente come in qualsiasi civiltà ben costituita, comunque, un principio metafisico lo hanno anche le altre caste. Infatti, sempre secondo questo mito, tutte queste sono generate da Odino, per mezzo dell’unione con donne diverse di famiglie diverse. Si noti che queste diverse famiglie vivono in condizioni distinte: le più povere sono le più vincolate alla terra, attraverso il lavoro, mentre le più ricche lo sono meno, e praticano il commercio oppure cacciano, seconda del loro grado di distacco. Gli insegnamenti che il Dio destina ad ognuna di queste famiglie è la pratica religiosa a seconda del loro vincolo con la terra e con la dimensione tellurica, di modo tale che solamente ai nobili è riservata l’iniziazione e la conoscenza delle Rune, mentre agli altri si destinano le vie essoteriche, che, pur non avendo la stessa forza della via dei nobili riescono a portare la realizzazione a questi altri gruppi, dal momento in cui sono conforme la loro natura. In questo contesto può essere significativa la posizione della porta delle case di queste famiglie, aperta presso coloro che origineranno l’aristocrazia, semiaperta presso coloro che origineranno le classi mercantili ed artigiane, e socchiusa presso coloro che origineranno i ceti servili, come un modo di indicare la capacità di questi diversi gruppi di ricevere il Dio.
III. La Luna
Dallo studio della mitologia nordica può saltare all’occhio la peculiare inversione delle polarità, per quanto riguarda il Sole e la Luna, i quali, al contrario di quanto ricorre nella maggior parte delle popolazioni ariane, qui corrispondono il primo alla polarità femminile e il secondo a quella virile, simbolismo che, come affermano Evola e Bachofen, ricorre frequentemente tra popolazioni pre-ariane.
Nel contesto delle tradizioni nord-europee occorre dunque rilevare che in effetti, conforme alcuni studi (Sorcery and Religion in Ancient Scandinavia, Varg Vikernes), in tempi più remoti tali civiltà avessero una struttura matriarcale, adottando il patriarcato in seguito, il che potrebbe spiegarci la polarità femminile del sole, in questo modo però, anche la virilità lunare verrebbe ad essere giustificata, dal momento in cui, conforme insegna anche Proclo, la Luna assume una funzione maschile quando messa in relazione con la terra, che invece assume sempre un carattere femminile (come del resto, ci rivela, più recentemente, la denominazione tedesca Heimatland), tuttavia, la virilità lunare non è completa, infatti, simbolicamente, la Luna è l’astro più puro della sfera sub-lunare, ma il meno puro nel contesto del Kosmos, in altre parole, secondo quanto tali miti suggeriscono, la religione nordica non arrivò mai a raggiungere il grado di trascendenza che fu invece proprio al culto ellenico dell’Apollo Iperboreo, pur riuscendo a superare la dimensione tellurica della Civiltà delle Madri.
Ad ogni modo, la natura esclusivamente virile dei dodici Aesir che compongo il principale circolo di Dèi, ci lasciano capire che nei suoi albori, questa civiltà dovesse avere invece un carattere virile, e che la deriva matriarcale sia stata invece una degenerazione causata da qualche avvenimento ora sconosciuto, a seguito del quale vi è però stata una ripresa virile che comunque non riuscì a trascendere totalmente la dimensione tellurica, come ci suggerisce il simbolo della Luna virile.
IV. Il Sole
Come avevamo constatato, il Sole ha invece una natura femminile, fatto che suggerisce appunto questa tendenza ginecocratica, tuttavia continua ad avere le stesse funzioni simboliche del Sole tra le altre popolazioni indo-europee.
Questo aspetto potrebbe essere un ulteriore indicativo di quanto abbiamo affermato alla fine del precedente passaggio: che in altri tempi più remoti, che potrebbero anche rimontare all’epoca mitologica degli Iperborei, vi sia stata di fatto una comprensione piena di questo simbolismo, probabilmente accompagnata anche da complesse vie di realizzazione spirituale, che, tuttavia, nel medioevo, momento di maggiore contatto tra il mondo scandinavo e quello mediterraneo, erano già andate irrimediabilmente perdute.
V. Le Valchirie
Secondo Thomas Bulfinch, queste donne-guerriere al servizio di Odino, hanno come principale funzione portare al Valhalla le anime dei valorosi che dovranno lottare nella battaglia finale. Il simbolo delle donne guerriere, già a noto tra i Greci nella forma delle Amazzoni, può rimettere al tipo “Amazzonico”, razza dello spirito formulata da Julius Evola, che descrive una virilizzazione del principio femminile, che passa ora ad assumere funzioni tradizionalmente virili. Nella visione ellenica, però, le Amazzoni costituiscono un potere titanico, anti olimpico, che viene anche ferocemente combattuto da molti grandi eroi. Invece, nella teologia nordica, esse si pongono al servizio degli Dèi, assumendo una funzione simile a quella delle Parche e del Dio Mercurio, come messaggero degli Dèi.
Simili funzioni ci allontanano quindi da un’idea amazzonica, facendoci piuttosto trovare delle somiglianze con la Pallade Minerva. Le Valchirie potrebbero dunque assumere un’idea di femminilità trascendente in quanto portatrici della sapienza divina e conduttrici degli uomini degni al divino e così verrebbero anche a rappresentare la sapienza divina (Santa Sofia, o Santa Sapienza dei medievali) che permette all’uomo di elevarsi, da ciò ne deriva quindi la loro posizione armonica con relazione agli Dèi e principalmente a Odino, che è considerato, in questo sistema teologico, come il più saggio degli Dèi.
VI. Conclusioni
Resterebbero ancora molte considerazioni da farsi a riguardo, tuttavia in parte per i limiti di spazio, ed in parte perché riteniamo di avere già fornito dati sufficienti per provare quanto ci siamo proposti all’inizio concludiamo qui il nostro saggio.
Le grandi somiglianze e la compatibilità di innumerevoli elementi ci sono indicative riguardanti una probabile unità primordiale di questa tradizione con quella più preservata delle civiltà classiche, ci resta dunque da osservare che, per quanto per il buon esito e l’efficacia dei riti sia fondamentale la fedeltà alla consuetudine della pratica, le tradizioni nordiche potrebbero complementare quelle greche e romane in ciò che riguarda il rispetto dei vincoli di sangue, una cui postura relativamente negligente da parte dei romani, secondo il ricostruzioni sta Salvatore Ruta Crevy, potrebbe essere stata una delle cause della loro decadenza, d’altra parte però, il mondo greco-romano, in termini iniziatici, si rivela molto più completo di quello nordico, così, allo stesso modo con cui Oriente ed Occidente si completano reciprocamente (Julius Evola, Oriente e Occidente) possiamo dire che anche Nord e Sud, nel contesto delle tradizioni europee, possiedono una medesima inclinazione al completamento.